Leggi le nostre fiabe


Nel buio delle fiabe

    C'era una volta...
   Anzi, c'era giusto qualche mese fa un ragazzino coricato comodamente fra le coperte del suo lettino azzurro e una mamma premurosa al suo fianco che teneva un libro stretto fra le mani e, con la voce più dolce del mondo, gli raccontava una fiaba. Lei, la mamma, aveva i capelli raccolti in un'ordinata coda di cavallo e portava addosso il solito pigiama. Il suo nome era Tiziana, anche se per suo figlio Marco era solo mamma o ''mammatitto'', come adorava chiamarla prima di compiere i suoi 6 anni.
   La fiaba di Cappuccetto Rosso non era ancora finita, ma gli occhi di Marco erano già chiusi. Mentre Tiziana abbandonava la stanzetta non poteva immaginare cosa il suo bimbo stesse affrontando dietro quegli occhietti chiusi: un mondo a cui lei non aveva accesso si stava tingendo di nero.
  
   §§ Marco si ritrovò in un posto dalle forme confuse e dalle ombre misteriose. Forse era un bosco, ma non poteva esserne sicuro. Una cosa, però, era certa: là dentro qualcosa si muoveva. Infatti, voltandosi, non potè fare a meno di gridare alla vista degli occhi gialli e avvelenati di sangue dell'orrenda bestia che lo fissavano. Poi l'animale mostrò le enormi fauci e ringhiò, facendolo rabbividire.
   Marco cominciò a correre terrorizzato, ma dovunque andasse quegli occhi lo inseguivano.  «Ti va di giocare?» sentì ringhiare il lupo. Poi vide l'unica via di fuga: una porta bianca che spiccava in mezzo a tutto quel nero. Corse, corse mettendoci tutta la forza che aveva in corpo finchè non arrivò alla porta, afferò il pomello e l'attraversò senza esitazioni. Si ritrovò a non avere più un terreno sotto i piedi e a coprirsi gli occhi perchè era circondato di luce e di bianco. La caduta sembrò durare un'eternità, mentre attorno a lui continuava a moltiplicarsi il nulla. Finalmente sentì sotto i piedi qualcosa che fermò quella folle caduta. Si rese presto conto che quello strano pavimento, freddo e trasparente, era vetro. Subito Marco ebbe paura di poterlo rompere anche solo alzandosi.  Ma a terra, disteso vicino a lui, c'era qualcuno. Una donna giaceva riversa con indosso un mantellino rosso col cappuccio. Il bambino si alzò e si avvicinò, scostò delicatamente la donna e con orrore vide sua madre con un profondo taglio in gola inferto dalla bestia.
   Sentì la roca voce del lupo alle sue spalle. « Adesso ti va di giocare?». §§

   Marco si svegliò in un sussulto e si ritrovò nella sua piccola camera che lo teneva lontano da tutti i mali e lo proteggeva da ogni persona. La prima cosa che fece fu chiamare sua mamma per levarsi in fretta l'immagine di lei col volto cereo e senza vita. Tiziana accorse subito.  « Che c'è tesoro?»- chiese -« Mammatitto, ho fatto un brutto sogno! Puoi dormire qua con me?» domandò fra le lacrime il bimbo terrorizzato, stretto fra le coperte.
   Il giorno dopo, quando la luce del sole cominciò a illuminare le stanze, la paura dell'incubo della notte appena trascorsa sembrava lontano e anche un po' sciocco. La giornata passò in fretta e, quando il sole si andò a rifugiare dietro l'orizzonte, quel sottile terrore che porta la sera cominciò a insinuarsi fra i pensieri di Marco. Dovunque ci fosse il buio immaginava ne potesse uscire fuori il temutissimo lupo. Per questo si ritrovò spesso ad entrare nelle stanze senza trovare l'interruttore e più muoveva ansiosamente la mano a tastare il muro più il cuore batteva forte, e in quei momenti desiderò di diventare lui il lupo pur di non provare più paura.
   Quella sera Tiziana si mise accanto al letto di Marco, come sempre, e agguantò il libro di fiabe.
   « Noo, mamma, ti prego! Non me lo leggere Cappuccetto Rosso... leggimi un'altra fiaba»
   « Perchè, Marco? Non l'abbiamo finito, siamo solo arrivati alla parte in cui la nonnina viene mangiata dal lupo. Non vuoi sapere come va a finire?»
     « Ti prego, mamma, leggimene un'altra»
   « D'accordo» disse lei, rassegnata. Si alzò e andò a prendere un altro libro a caso dalla piccola libreria, poi guardò il titolo in oro su copertina verde scuro.  ''Pinocchio''. Cominciò a leggere ma presto, su richiesta del figlio, dovette smettere. Chiuse il libro e con tanti dubbi sul comportamento di Marco, Tiziana andò a dormire e raggiunse Morfeo molto prima del figlio che rimase dritto e teso, con la netta sensazione che sotto il suo letto, insieme a qualche giocattolo abbandonato e un po' di polvere, ci fosse qualcos'altro. Poi il sonno lo raggiunse, pesante come un macigno sulle palpebre stanche.

   §§ Marco non potè non chiedersi dove fosse finito... i piedi gli facevano male a contatto col terreno fangoso, ma a superare il dolore fu l'orrore quando si accorse che al posto dei suoi piedi c'erano due pezzi di legno marcio, popolati da tanti piccoli vermi giallastri, provò a gridare, ma dalla sua bocca, per quanto si sforzasse, non uscì alcun suono. Impaurito si guardò intorno e dentro quella luce irreale della  luna più grigia che avesse mai visto erano poche le cose visibili. Ma a preoccuparlo più di tutto era una figura non lontana da lui che si mosse con una velocità sovrumana e gli si avvicinò fin quasi a toccarlo. Era la sua maestra d'asilo, una donna severa dallo sguardo buio d'odio. Aveva un vestito stracciato e infangato. I suoi capelli erano sfatti e le ricadevano scompostamente sul volto.
   « Schhh zitto!! Non puoi gridare, shhhhh! non puoi parlare quindi se non parli le bugie non le puoi dire..» gli ordinò all'improvviso la maestra. La sua voce era ridotta a un sussurro glaciale, e le risa che seguirono le sue parole erano disumane. Marco si coprì gli occhi finchè le risate non cessarono e il silenzio non tornò a fargli compagnia. Quel silenzio però fu presto rotto da un rumore ritmico e il bimbo dovette aprire gli occhi per rendersi conto che erano i suoi piedi di legno che picchiavano sull'asfalto grigio. Adesso il sole era alto nel cielo e il caldo sembrava insopportabile.
   Davanti a Marco apparve una strada infinita, ai lati della quale si estendeva il più solitario fra i deserti. Ma in fondo alla strada vide stagliarsi due figure che lo terrorizzarono a tal punto da sentirsi battere forte il cuore nel petto; ma il rumore che produceva era molto più simile a qualcuno che bussa a una porta più che a un cuore che pulsa.
   « Ohh! Guarda ! Un pezzo di legno che cammina...» sentì dire da una delle due figure. Guardò meglio e si rese conto che a parlare era stata una volpe stretta in un assurdo smoking viola a pois verdi, in compagnia di un gatto con scarpe nero lucide e cappello di paglia.
   « Io non sono un legno che cammina» - protestò stizzito Marco - «sono un bambino vero!!» e all'improviso il naso cominciò ad allungarsi e nel giro di pochi secondi gli si trasformo in un lungo ramo nodoso.§§

   Si svegliò fra le lacrime. Guardando fuori, il bambino si rese conto che era mattina tarda e il fatto che sua madre non l'avesse svegliato per andare a scuola poteva significare solo che era domenica. Così si asciugò le lacrime e passò buona parte della giornata davanti la tv cercando di cancellare dalla sua memoria l'incubo notturno. Purtroppo per lui il pomeriggio passò velocemente e la sera scese fra gli edifici troppo, troppo in fretta, e inevitabilmente arrivò il momento della fiaba.
   Dopo il secondo incubo che aveva tormentato la sua notte, Marco non aveva nessuna voglia di sentire chissà quante altre disgrazie avessero perseguitato Pinocchio dopo l'incontro con il gatto e la volpe. Così anche quella sera la richiesta fu quella di leggere un'altra fiaba. Stavolta la mamma ebbe l'infelice idea di scegliere ''Hansel e Gretel''. Ma appena la strega bucò le pagine del libro, ritratta in un orribile disegno, Marco chiese alla madre di fermarsi, dicendo che era stanco e che voleva soltanto dormire.
   Tiziana, come la notte precedente, andò a letto con un po' di dubbi su tutte le stranezze del figlio. Anche Marco si addormentò e presto entrò nel suo piccolo mondo dei sogni dove tutto era possibile, TUTTO anche le cose più tremende e i mostri più paurosi lì dentro diventavano REALTA'.

  §§ Marco si ritrovò in un delizioso boschetto tutto color indaco, dalle foglie ai cespugli, dai tronchi degli alberi alle radici. Passeggiando, però, si ritrovò comunque solo, con la sensazione pesante sul cuore di essere stato abbandonato, non sapeva esattamente da chi. Forse dal mondo intero.
   Molto presto Marco dovette sedersi perchè si sentiva svuotato di tutte le forze e aveva una fame, ma una fame che gli sembrava di non mangiare da tutta una vita. Si toccò la pancia ma era troppo piatta, si alzò la maglietta e urlò per l'orrore del suo corpo: tutte le costole erano visibili sotto la pelle tirata e il ventre, troppo piatto, continuava a brontolare insistente, implorando del cibo... Era tutto sfocato e confuso e aveva la sensazione che gli alberi si chiudessero su di lui oscurandogli il cielo.
   Riprese i sensi in una gabbia orrenda, all'interno di una stanza con i muri ricoperti di caramelle, le finestre di cioccolata e le sedie di panna cotta. Ma lì, in un lato della gabbia c'era qualcosa troppo in ombra per capire cosa fosse. Marco si avvicinò e la prese portandola alla luce. Un brividò s'impadronì di lui quando si rese conto di avere tra le mani  la testa  di un bambino. Colto dalla nausea, vide che ormai parte del volto era stato mangiato dal tempo tanto da rendere visibile lo scheletro. Pianse per tutti i mali che il bambino aveva dovuto subire e che gli avevano lasciato uno sguardo di puro terrore nell'unico occhio spalancato che gli era rimasto. Una donna irruppe nella stanza, una donna orribile col volto attraversato da rughe profondissime, gli occhi dannati e una voce che ricordava il rumore che provocano le unghie sulla lavagna.
   « Ora vedremo di mettere un po' di carne su quegli ossicini!" disse e si premurò così di riempire la gabbia di ogni squisitezza sotto gli occhi vigili e intrisi di paura del piccolo Marco.
   «Dammi il ditiiiiiino» ripeteva in continuazione la strega che controllava quanto il bimbo fosse ingrassato. Nel frattempo lo sguardo di Marco ricadeva sulla testa decapitata del povero bambino e temeva che presto sarebbe toccato a lui.
   « Non mi piace la teesta» - gli aveva rivelato la strega compiaciuta del suo sguardo di terrore - « la paura rende i bimbi più buoni, cuociono prima, sai?»
   La vecchia si avvicinò alle sbarre e guardò dritto negli occhi Marco che si rese subito conto di quale sguardo fosse quello: era lo sguardo della fame.
   «Mi sa che stasera tocca a me mangiareeeeee!!» gli strillò lei, avvicinando una mano dalle unghie lunghe e nere pronte ad afferrarlo. §§

   Anche quella mattina, dopo il brusco risveglio, Marco dovette aspettare che il cuore ricominciasse a battere al ritmo normale. Rimase ancora un po' tra le coperte per prendere piena coscienza del fatto che era stato tutto un sogno e che ora era finalmente nel mondo reale. Quel giorno decise di raccontare alla mamma tutti gli incubi che l'avevano tormentato e le aveva spiegato che il motivo per il quale non voleva più sentire il seguito delle fiabe era che erano tutte troppo terrificanti. Lei lo fece ragionare e gli lesse quella mattina stessa tutti i lieto fine che lui non aveva avuto il coraggio ascoltare. Lo aiutò, così, a superare tutte le sue paure.
   Dopo quei giorni, ogni volta che Marco si trovò davanti a un problema ebbe la forza di tentare di risolverlo, ricordandosi che, se si affronta con coraggio la vita, indipendentemente dal fatto che si raggiunga o no l'ipotetico ''lieto fine", l'importante è averci provato. Anche perchè persino dopo il peggiore dei temporali spunta il più colorato fra gli arcobaleni.

Gea S. 1B
A.S. 2010/2011 
 
In lavatrice appassionatamente!!!

Oggi è una splendida giornata! C’è il sole ed una leggera brezza.

"Giornata ideale per fare il bucato!", pensò la mamma. "Con questo caldo e
 questo venticello i miei panni asciugheranno in un momento!".

La mamma preparò così la biancheria sporca mettendola in lavatrice.

La maglietta bianca passò per prima dall’oblò e, accorgendosi di essere sola, pensò tra
 sé e sé: "Per fortuna che sono la prima, così nessuno può vedere come sono ridotta! Mi vergogno proprio d'essere così sporca.
 Io solitamente sono sempre perfettamente candida! Queste macchie di frutta non mi donano affatto!"

Fu la volta dei calzoncini corti che, entrando nella lavatrice, salutarono educatamente la magliettina
bianca.

Quindi seguirono gli asciugamani, le mutande, un pigiamino e un accappatoio.

Arrivò poi una fila di fazzoletti; uno di loro starnutì e tutti gli altri, facendo lo stesso, esclamarono
in coro: "Ci ha attaccato il raffreddore pure a noi, accidenti!"

L’accappatoio protestò: "Allora vedete di starmi lontano che io i vostri germi non li voglio! Sono stato chiaro fazzoletti? Non voglio mica ammalarmi!", e con una manica li spinse più lontano.

"Ahi!", gridò un fazzolettino.

"Ho capito! Ho capito, mi allontano, ma non è il caso di spingermi! Mi hai fatto sbattere contro il
vetro dell’oblò!"

Intanto lo sportello si aprì nuovamente ed entrò un lenzuolo che, con
 voce assonnata,  farfugliò: "Fatemi spazio che sto stretto!".

Il pigiamino si ritrovò tutto schiacciato e rispose prontamente: "Tu staresti stretto? E noi allora
come siamo messi secondo te? Vedi di stringerti tu, che sei troppo ingombrante!"

Il lenzuolo non riuscì neppure a rispondere, perché si era già addormentato: adorava
sonnecchiare, era troppo abituato a stare a letto!

Per svegliarsi gli sarebbe servita una bella doccia… e questo sarebbe accaduto da lì a poco.

"Oddio! Oddio! Che puzza! Chi è entrato adesso?", chiese un asciugamano.

"Che ce l’hai con noi?", chiesero risentite le calze.

L’asciugamano le interrogò: "Ma che avete fatto per conciarvi così e avere questo cattivo odore?"

I calzini si giustificarono: "Forse frequentiamo troppo spesso le nostre amiche scarpe da ginnastica!"

L’accappatoio intervenne nella conversazione: "Allora statemi lontani, preferisco la compagnia dei germi dei fazzoletti che quella del vostro tanfo!"

A questo punto la lavatrice era carica. Il detersivo scivolò nella vaschetta e si cominciò a sentire
il rumore  dell’acqua. 

I calzini cominciarono a sbattere contro l’oblò gridando “Fateci uscire! Aiuto! Qui ci stiamo bagnando!"

La magliettina bianca, che non vedeva l’ora di ritornare splendente come prima, spiegò: "Eh già, è così che si diventa puliti!"

L’accappatoio, che tra germi e cattivi odori aveva  perso la pazienza, urlò infuriato: "Ormai siete qui, quindi state calmi e fatevi lavare.
 Forse senza quel terribile odore sarete più sopportabili!"

All'improvviso arrivò la schiuma.

I fazzoletti furono felicissimi e si divertirono un mondo con tutte quelle bolle!

Ma dopo un po’ di giri, tutti quanti i panni cominciarono a lamentarsi.

Un berrettino esclamò: "Cavolo, ora basta! Mi gira la testa!"

I pantaloncini corti incuriositi chiesero: "Ma come fa a girarti la testa, se non ce l’hai?"
"Ah! Già è vero! Ma qui fuori gira tutto!", rispose il berrettino guardando fuori dall’oblò.

I calzoncini corti divertiti spiegarono: "Non è fuori che gira tutto, sciocco! Siamo noi a girare!"

A calmare tutti arrivò l’ammorbidente che rese più soffice e profumata la biancheria.

Solo un calzino non sembrò soddisfatto e, annusando l’altro calzino, gli disse: "Ti preferivo prima!"

Improvvisamente cominciò la centrifuga…

"Oh! Oh! Oh!", gridarono tutti impauriti.

Le mutande urlarono: "Santo cielo! Piano! Piano! Noi siamo biancheria intima, non ci si può strapazzare.

E poi, finalmente, furono stesi a godersi il caldo abbraccio del sole...

Jessica P. IA
A.S. 2010/2011